Nel vasto e misterioso universo, i buchi neri si presentano come alcuni degli oggetti più enigmatici mai osservati. Gli astronomi li classificano in tre grandi categorie: i buchi neri di massa stellare, con masse che vanno da cinque a cinquanta volte quella del Sole; i buchi neri supermassicci, che si ergono come colossi al centro delle galassie, con masse da milioni a miliardi di Soli; e, nel mezzo, i buchi neri di massa intermedia, i più sfuggenti e misteriosi di tutti.
Proprio questi ultimi, noti come IMBH (Intermediate Mass Black Holes), rappresentano da tempo un tassello mancante nella nostra comprensione dell’evoluzione dei buchi neri. Sono come fossili cosmici, antichi e preziosi testimoni dell’universo primordiale, ma per lungo tempo la loro esistenza è rimasta nell’ombra, relegata a teorie e ipotesi. Ora, però, una serie di studi rivoluzionari sta finalmente gettando luce su questi enigmatici giganti cosmici.
Un team guidato dal professor Karan Jani della Vanderbilt University, con la collaborazione della ricercatrice post-dottorato Anjali Yelikar e della dottoranda Krystal Ruiz-Rocha, ha rianalizzato con cura i dati raccolti dai potenti rilevatori di onde gravitazionali LIGO (negli Stati Uniti) e Virgo (in Italia). Questi strumenti, insigniti del Premio Nobel, hanno permesso agli scienziati di ascoltare i sussurri dello spazio-tempo e scoprire segnali provenienti da collisioni titaniche tra buchi neri.
Tra questi segnali, il team ha identificato eventi straordinari: fusioni di buchi neri con masse comprese tra 100 e 300 volte quella del Sole. Si tratta degli eventi di onde gravitazionali più pesanti mai registrati, un segnale inequivocabile dell’esistenza di buchi neri di massa intermedia. Una scoperta che spalanca le porte alla comprensione delle prime stelle che hanno acceso la luce nell’universo.
Il professor Jani descrive questi buchi neri come “i fossili cosmici definitivi”. Le loro masse, finora soltanto ipotizzate, potrebbero raccontarci la storia delle prime generazioni stellari e delle condizioni estreme che regnavano quando l’universo era ancora giovane.
Tuttavia, i rilevatori terrestri come LIGO e Virgo riescono a catturare soltanto l’ultimo, fugace istante di queste collisioni cosmiche. È come osservare solo l’esplosione finale di un fuoco d’artificio senza sapere da dove è partito. Per risolvere questo enigma, gli scienziati guardano ora al futuro: alla missione LISA (Laser Interferometer Space Antenna), un progetto ambizioso dell’Agenzia Spaziale Europea e della NASA, il cui lancio è previsto per la fine degli anni 2030.
Nei loro studi, pubblicati su The Astrophysical Journal, il team ha dimostrato che LISA potrà seguire questi buchi neri anni prima della loro fusione, permettendo di osservare l’intero viaggio cosmico delle loro vite. È come poter leggere la biografia completa di un buco nero, dalle origini fino al gran finale.
Un ulteriore passo avanti è stato compiuto grazie all’uso dell’intelligenza artificiale. Il ricercatore Chayan Chatterjee ha sviluppato modelli innovativi per distinguere i segnali autentici dal rumore di fondo, migliorando così la nostra capacità di ascoltare questi eventi celesti. Questo lavoro, parte del programma “AI for New Messengers”, rappresenta una sinergia perfetta tra scienza dei dati e fisica delle onde gravitazionali.
Ma la visione non si ferma qui. Il team di Jani sta esplorando l’idea di posizionare rilevatori di onde gravitazionali sulla Luna, sfruttando le basse frequenze per individuare i luoghi in cui questi buchi neri di massa intermedia potrebbero annidarsi. Una prospettiva audace che potrebbe trasformare la nostra comprensione del cosmo.
Con ogni nuova scoperta, ci avviciniamo alla verità su questi giganti nascosti: i buchi neri di massa intermedia potrebbero rivelarsi la chiave per capire come si sono formate le galassie, le stelle e forse anche la materia stessa di cui siamo fatti.
Questa è una tappa emozionante, che unisce scienza e sogno. È la prova che ogni rivelazione dell’universo ci regala un nuovo capitolo della nostra storia cosmica — e che, guardando verso lo spazio profondo, stiamo riscoprendo le nostre stesse origini.
Per approfondire: Krystal Ruiz-Rocha et al, Properties of “Lite” Intermediate-mass Black Hole Candidates in LIGO-Virgo’s Third Observing Run, The Astrophysical Journal Letters (2025). DOI: 10.3847/2041-8213/adc5f8
Krystal Ruiz-Rocha et al, A Sea of Black Holes: Characterizing the LISA Signature for Stellar-origin Black Hole Binaries, The Astrophysical Journal (2025). DOI: 10.3847/1538-4357/adad6b
Shobhit Ranjan et al, A Tale of Two Black Holes: Multiband Gravitational-wave Measurement of Recoil Kicks, The Astrophysical Journal (2025). DOI: 10.3847/1538-4357/adba4e
Chayan Chatterjee et al, No Glitch in the Matrix: Robust Reconstruction of Gravitational Wave Signals under Noise Artifacts, The Astrophysical Journal (2025). DOI: 10.3847/1538-4357/adbb66
Stefano Camilloni