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Siamo soli nell’Universo? 75 anni dopo il Paradosso di Fermi la ricerca continua

Era il 1950, durante un pranzo informale a Los Alamos, quando Enrico Fermi, fisico italiano e premio Nobel, pose con semplicità una domanda che avrebbe turbato generazioni di astronomi e filosofi: «Dove sono tutti quanti?». Quella breve frase, pronunciata di fronte all’immensità cosmica, divenne il nucleo del celebre Paradosso di Fermi: se l’universo pullula di stelle, e se la vita intelligente è statisticamente probabile, perché non abbiamo mai avuto prove della sua esistenza?

Oggi, 75 anni dopo quel fatidico pranzo, ci troviamo forse più vicini che mai a una risposta concreta.

Esopianeti: nuovi mondi, nuove domande

Quando Fermi sollevò il suo paradosso, non avevamo scoperto ancora alcun pianeta al di fuori del nostro sistema solare. Tutto cambiò nel 1995 con l’identificazione del primo esopianeta. Da allora, i telescopi hanno rivelato quasi seimila mondi alieni, aprendo scenari che prima esistevano soltanto nell’immaginazione. David Charbonneau, professore di astronomia presso il prestigioso Center for Astrophysics di Harvard & Smithsonian, sottolinea gli straordinari progressi fatti: «Oggi sappiamo che almeno una stella su quattro possiede un pianeta roccioso, delle dimensioni e delle temperature simili alla Terra, all’interno della sua zona abitabile». Questi risultati suggeriscono che potenziali Terre sono tutt’altro che rare.

La prossima frontiera: le biosignature

Tuttavia, identificare un pianeta simile alla Terra non è abbastanza per confermare la presenza di vita. Il vero santo graal della ricerca astrobiologica è la scoperta delle biosignature, tracce chimiche nell’atmosfera di un pianeta che potrebbero essere generate soltanto da organismi viventi. Qui, tuttavia, entra in gioco un ostacolo formidabile: la tecnologia. Charbonneau ricorda che i nostri strumenti attuali non sono ancora abbastanza potenti per raccogliere e analizzare i dati necessari. Per superare questa sfida, gli scienziati hanno proposto la creazione di un telescopio spaziale avveniristico, l’Habitable Worlds Observatory (HWO), con l’ambizioso obiettivo di fotografare e studiare almeno 25 mondi potenzialmente abitabili. Per ora, però, l’HWO resta un sogno ancora da realizzare.

Quanto è rara la vita intelligente?

Anche ammesso che la vita esista altrove, resta incerta la sua frequenza, e ancora più incerta è la probabilità che questa vita sviluppi una civiltà tecnologicamente avanzata. Charbonneau evidenzia che la presenza di condizioni favorevoli potrebbe non garantire automaticamente lo sviluppo della vita: «Potremmo trovare pianeti ideali dal punto di vista chimico e fisico che restano ostinatamente sterili». Se i primi pianeti abitabili che esamineremo risulteranno privi di vita, ci troveremmo di fronte a una scomoda verità: la vita potrebbe essere molto più rara di quanto immaginiamo.

Avi Loeb e il coraggio di esplorare nuove vie

Avi Loeb, astrofisico di Harvard e fondatore del Galileo Project, suggerisce un cambio di prospettiva radicale. Secondo Loeb, dobbiamo ampliare la nostra ricerca oltre le strategie tradizionali, esplorando fenomeni aerei non identificati (UAP) e oggetti provenienti da altri sistemi stellari. Il Galileo Project, che omaggia il coraggio intellettuale dell’astronomo che cambiò la nostra visione del cosmo, rappresenta una scommessa audace sulla possibilità di scoprire qualcosa di radicalmente nuovo.

Loeb ha destato scalpore nel 2018 ipotizzando che ‘Oumuamua, il misterioso oggetto interstellare attraversato il nostro sistema solare, potesse essere una vela solare artificiale, mandata da una civiltà aliena lontana. Con audacia, Loeb sostiene che i miliardi di pianeti potenzialmente abitabili nella nostra sola galassia ci ricordano quanto poco unici potremmo essere: «Non siate presuntuosi», avverte, «non siamo privilegiati».

Settantacinque anni dopo il Paradosso di Fermi, l’umanità è alle soglie di grandi scoperte o forse di grandi silenzi cosmici. Comunque vada, ciò che stiamo cercando là fuori dirà molto anche su chi siamo noi, qui sulla Terra.

Stefano Camilloni

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