Se da qualche parte, nel nostro Sistema Solare, la vita sta ancora resistendo nell’ombra, dove si nasconde?
È questa la domanda che guida la più grande caccia scientifica del nostro tempo. Gli occhi della ricerca si sono posati sul nostro enigmatico vicino: Marte, un mondo che un tempo poteva somigliare al nostro, ma che oggi si mostra come un deserto gelido e silenzioso. Eppure, sotto quella crosta rugginosa e apparentemente ostile, potrebbero celarsi ancora le ultime tracce di un’antica biosfera.
Gli indizi nascosti nel Cratere Jezero
Il nuovo entusiasmo è nato grazie a osservazioni sorprendenti provenienti dal Cratere Jezero, un antico bacino fluviale oggi esplorato dal rover Perseverance della NASA. Tra le sue rocce argillose, i ricercatori hanno individuato microscopici motivi minerali a macchie, soprannominati “leopard spots” per la loro somiglianza con la pelle di un leopardo.
Questi pattern ricordano da vicino le tracce lasciate dai microrganismi terrestri nelle rocce sedimentarie, e potrebbero rappresentare uno dei segnali più promettenti finora emersi. Non si tratta ancora di una prova di vita: la scienza procede con cautela. Ma il semplice fatto che simili strutture possano essersi formate su Marte accende una scintilla di speranza: forse la vita non è stata un’esclusiva terrestre.
Il destino spezzato di un mondo gemello
Marte e Terra, nei loro primi capitoli, sembravano due pianeti fratelli. Entrambi avevano atmosfere dense, campi magnetici protettivi e acque liquide che scorrevano in superficie. Sulla Terra, queste condizioni hanno acceso la scintilla della vita. È quindi del tutto plausibile che, nello stesso periodo, Marte abbia vissuto una sua primavera biologica.
Poi, qualcosa è cambiato. Il nucleo marziano ha cominciato a raffreddarsi e il campo magnetico si è dissolto. Senza la sua armatura invisibile, l’atmosfera è stata spazzata via dal vento solare, trasformando gradualmente un pianeta potenzialmente ospitale in una distesa sterile di polvere e ghiaccio.
Oggi la superficie marziana è bombardata da radiazioni e spazzata da tempeste secche: un ambiente che difficilmente può sostenere organismi viventi. Ma sotto questa scorza desolata, potrebbe nascondersi una vita che ha imparato a sopravvivere nell’oscurità.
Il rifugio nel sottosuolo: la possibile biosfera profonda
Se la vita esiste ancora su Marte, la sua dimora più probabile è nel sottosuolo profondo.
Grotte vulcaniche, pori delle rocce e strati ghiacciati potrebbero offrire protezione dalle radiazioni e condizioni più stabili rispetto alla superficie. Questo scenario non è frutto di fantasia: sulla Terra, ecosistemi simili prosperano lontano dalla luce del Sole.
A chilometri di profondità, nel nostro pianeta, esiste una vastissima biosfera profonda composta da microrganismi chiamati litoautotrofi: esseri viventi che traggono energia non dalla luce, ma dalle reazioni chimiche tra acqua e roccia. Queste comunità sono invisibili agli occhi, ma costituiscono una parte significativa della biomassa terrestre.
Su Marte, tali ambienti sotterranei offrirebbero diversi vantaggi:
- Energia e acqua: reazioni tra rocce e acqua liquida — ancora oggetto di dibattito ma plausibili — potrebbero fornire una fonte di energia costante.
- Spazio e porosità: la gravità più bassa renderebbe le rocce meno compattate, creando nicchie dove i microbi potrebbero annidarsi.
- Temperatura favorevole: poiché il pianeta genera meno calore interno, zone “abitabili” potrebbero trovarsi a profondità maggiori rispetto alla Terra, rimanendo isolate per miliardi di anni.
Un possibile indizio di queste attività è la presenza, ancora controversa, di metano atmosferico su Marte. Sulla Terra, parte di questo gas è prodotto proprio dai microbi sotterranei.
La sfida scientifica: scavare nelle tenebre
Per esplorare questi santuari nascosti, la scienza guarda alla Terra stessa. Zone estreme come il deserto di Atacama in Cile o i sedimenti ipersalini del Lago Salda in Turchia sono diventati “laboratori naturali” per capire come la vita potrebbe adattarsi alle condizioni marziane. Parallelamente, in laboratorio si ricreano ambienti marziani in camere climatiche dedicate, testando la resistenza di forme di vita terrestri a radiazioni e temperature estreme.
Il passo successivo è scavare. Il rover ExoMars Rosalind Franklin dell’Agenzia Spaziale Europea, in arrivo nei prossimi anni, avrà la capacità di perforare fino a due metri sotto la superficie, aprendo una finestra senza precedenti su questi strati nascosti.
Ma i ricercatori sono concordi: per trovare le risposte definitive dovremo andare ancora più in profondità, forse a decine o centinaia di metri. Costruire strumenti capaci di perforare il sottosuolo marziano non è semplice — è una sfida ingegneristica titanica — ma potrebbe essere la chiave per rispondere a una delle domande più antiche dell’umanità: siamo soli nell’universo?
Un silenzio che forse non è vuoto
Marte, con i suoi deserti rossi e i cieli sottili, sembra raccontare una storia di morte e abbandono. Ma forse, nelle sue viscere, c’è ancora un flebile battito: la vita che resiste in silenzio, invisibile ma non estinta.
La ricerca della vita su Marte non è solo una sfida scientifica. È un viaggio nel tempo, alla scoperta delle nostre origini cosmiche. Ogni roccia perforata, ogni campione analizzato, è un frammento di questa avventura condivisa tra due mondi un tempo simili.
E se un giorno troveremo quella vita, sarà come guardare in uno specchio antico — e scoprire che non siamo mai stati veramente soli.
Stefano Camilloni


