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K2-18b e il miraggio della vita: affievolita la speranza tra nuove analisi e dubbi

Un mese fa, l’umanità ha sfiorato uno di quei momenti che potrebbero cambiare per sempre la nostra visione dell’universo: la possibilità — reale, concreta — che su un pianeta a 124 anni luce da noi ci fossero segnali di vita. Non una semplice speculazione, ma tracce chimiche forse riconducibili ad attività biologiche. Il protagonista di questo sogno collettivo si chiama K2-18b, un mondo distante sospeso nella costellazione del Leone.

Questo esopianeta, più grande della Terra ma più piccolo di Nettuno, si trova in quella che gli scienziati chiamano “zona abitabile”, la distanza ideale dalla propria stella per ospitare acqua liquida. È un ambiente potenzialmente simile alla nostra casa blu — ma avvolto nel mistero.

Quando il telescopio spaziale James Webb ha scrutato la sua atmosfera, ha rivelato la presenza di molecole rare: dimetilsolfuro (DMS) e dimetildisolfuro (DMDS). Sulla Terra, queste sostanze sono generate esclusivamente da forme di vita, come le alghe marine. Una scoperta sconcertante, tanto da essere accolta come una possibile biosignature: una firma chimica della vita. Ma come spesso accade nella scienza, l’entusiasmo è stato seguito da uno tsunami di cautela.

Le firme chimiche si dissolvono

Le stesse osservazioni che avevano fatto sperare hanno subito un contraccolpo. Diversi studi successivi, rianalizzando i dati con approcci più ampi e modelli alternativi, hanno messo in discussione l’esistenza di queste molecole nell’atmosfera di K2-18b.

Uno di questi lavori è firmato da Luis Welbanks e Matthew Nixon, due ex collaboratori dello stesso team che aveva annunciato la scoperta. Utilizzando una libreria più ampia di molecole (90 rispetto alle 20 iniziali), hanno mostrato che oltre 50 potrebbero spiegare il segnale rilevato. “Quando tutto sembra essere compatibile, forse non hai rilevato nulla di concreto”, ha osservato Welbanks.

In altre parole: la presunta firma biologica potrebbe essere un miraggio statistico.

Anche un secondo studio, più conservativo, ha analizzato le osservazioni in diverse bande infrarosse e non ha trovato alcuna evidenza solida né per DMS né per DMDS. Lo stesso team originario, guidato da Nikku Madhusudhan dell’Università di Cambridge, ha aggiornato la propria analisi includendo ben 650 molecole candidate. Il DMS è rimasto tra le sostanze plausibili, ma il DMDS — una delle star dell’annuncio iniziale — è scomparso dai radar. Le altre molecole rilevate, come il dietilsolfuro e il metil acrilonitrile, sono poco compatibili con ambienti potenzialmente abitabili.

Scienza in movimento: il valore del dubbio

In un’epoca affamata di certezze, la scienza resta l’arte del dubbio. E Madhusudhan stesso ha accolto con serenità il confronto: “Il dibattito è sano”, ha dichiarato, ribadendo che nessun dato è stato ignorato e che l’analisi è in evoluzione.

Il metodo utilizzato per analizzare l’atmosfera di K2-18b si basa su un principio straordinario: osservare il pianeta quando transita davanti alla sua stella madre, analizzando le variazioni della luce che filtra attraverso i suoi strati gassosi. È come cercare di dedurre gli ingredienti di una zuppa osservando la luce che la attraversa. Ma questi indizi sono fragili, e ogni nuova ipotesi va testata, criticata, rifinita.

Un futuro ancora tutto da scrivere

Nei prossimi mesi, il telescopio James Webb tornerà a osservare K2-18b con maggiore precisione, in cerca di conferme. Ma anche se dovessimo davvero trovare DMS in modo inequivocabile, non basterebbe per proclamare la presenza della vita: questa molecola, infatti, è stata trovata anche su asteroidi inerti.

L’ipotesi che su K2-18b possa esistere una forma di vita resta sospesa tra speranza e rigore scientifico. E mentre gli strumenti migliorano, l’approccio resta quello della pazienza.

“Ci stiamo avvicinando più che mai alla possibilità di identificare la vita oltre la Terra”, ha detto Welbanks. Ma come ricorda Nixon, serve disciplina: “È meglio costruire certezze lente e solide che lanciare proclami su basi instabili”.

Tra sogno e metodo

Il sogno di non essere soli rimane vivo. Ma oggi più che mai, cammina al passo lento della scienza. Il caso di K2-18b ci ricorda che l’universo può sussurrare — ma capire se ci sta parlando davvero richiede tempo, strumenti e umiltà. Forse non è oggi il giorno in cui annunceremo di aver trovato la vita là fuori. Ma ogni dubbio sollevato ci avvicina a quella verità.

Stefano Camilloni

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