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Buchi neri alternativi e gravità quantistica: un nuovo scenario teorico

Da quando Albert Einstein svelò al mondo la relatività generale, i buchi neri hanno rappresentato l’enigma più profondo e inquietante dell’universo. Giganti oscuri, capaci di intrappolare persino la luce nel loro abbraccio inesorabile. Eppure, il cuore di queste creature cosmiche è ancora oggi avvolto nel mistero più fitto: la singolarità.

Cos’è dunque questa singolarità? È il punto dove la nostra realtà conosciuta si spezza, dove il tempo si arresta e lo spazio si piega fino all’inimmaginabile. Karl Schwarzschild ne colse la traccia matematica già nel 1916, aprendo una porta verso l’ignoto. Dagli anni ’60, sappiamo che al cuore di un buco nero la fisica stessa sembra dissolversi, lasciandoci sospesi davanti a una domanda senza risposta.

La singolarità è una confessione d’incertezza, un’ammissione che qualcosa sfugge ancora al nostro sapere. Come antiche mappe che segnavano con la scritta “Hic sunt leones” i territori inesplorati, oggi anche noi indichiamo così il centro oscuro dei buchi neri: luoghi misteriosi, abitati dai “leoni” della nostra ignoranza.

Eppure, proprio dai confini di questa oscurità emergono nuove possibilità. Con la prima rivelazione delle onde gravitazionali nel 2015 e le suggestive immagini catturate dall’Event Horizon Telescope (EHT), abbiamo imparato a guardare sempre più vicino a queste creature celesti. Tuttavia, nessuno di questi straordinari passi ci ha permesso finora di penetrare il velo della singolarità.

Un recente studio, pubblicato nel prestigioso Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, frutto di un workshop internazionale presso l’Institute for Fundamental Physics of the Universe (IFPU), propone di esplorare oltre questo confine oscuro. I fisici suggeriscono infatti che la singolarità potrebbe non essere un destino inevitabile, ma un limite da superare grazie alla gravità quantistica, una teoria ancora in attesa di essere pienamente compresa.

Tre nuovi modelli sono stati immaginati per sfidare il classico buco nero einsteiniano:

  • Il buco nero standard, che porta inevitabilmente alla singolarità;
  • Il buco nero regolare, che riesce a evitare la singolarità grazie a effetti quantistici, pur mantenendo l’orizzonte degli eventi;
  • Il mimicker, un “imitatore cosmico” che simula perfettamente l’apparenza esterna del buco nero ma privo di singolarità e orizzonte.

Secondo i ricercatori, questi modelli non sono soltanto ipotesi teoriche: ciascuno di essi lascia una firma unica, una traccia sottile e misteriosa che potremmo un giorno catturare. Immagini sempre più dettagliate dell’EHT potrebbero rivelare strani anelli di luce attorno a questi oggetti. Le onde gravitazionali potrebbero mostrarci anomalie delicate, sussurri che raccontano storie di geometrie sconosciute. Anche la radiazione termica proveniente dalla superficie di questi mimicker potrebbe offrirci indizi preziosi.

Certo, ancora non sappiamo con certezza cosa cercare o quanto lievi possano essere queste differenze. Tuttavia, nei prossimi anni, con l’avanzare della teoria e della tecnologia osservativa, potremmo finalmente illuminare il buio, distinguendo tra il vero buco nero e le sue affascinanti varianti.

Perché è così importante superare la singolarità? Perché significa attraversare il ponte verso una nuova comprensione dell’universo, armonizzando due mondi apparentemente incompatibili: la maestosità della relatività generale e la sottile eleganza della meccanica quantistica.

Stefano Liberati, tra gli autori della ricerca e direttore dell’IFPU, ci invita con entusiasmo a questo viaggio: “Quello che ci aspetta è un periodo affascinante per la gravità. Davanti a noi si apre un vasto paesaggio inesplorato“. Forse proprio là, nel cuore oscuro di questi enigmatici giganti, tra quei “leoni” invisibili, scopriremo finalmente i segreti più profondi del nostro universo.

Stefano Camilloni

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