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Vita precoce, intelligenza tardiva: una finestra stretta nell’evoluzione planetaria – L’analisi di David Kipping (Columbia University)

Se c’è una lezione che il nostro pianeta continua a impartirci, è la sorprendente rapidità con cui la vita sa insinuarsi nelle pieghe di un mondo appena nato. Una recente analisi a cura dell’astronomo della Columbia University David Kipping, pubblicata su Astrobiology, mette in rilievo che, a fronte di una Terra giovane e turbolenta, trascorsero forse solo un paio di centinaia di milioni di anni prima che apparissero le prime forme di abiogenesi. È un intervallo brevissimo su scala geologica e, se davvero generalizzabile, trasforma radicalmente il nostro modo di valutare la probabilità di trovare organismi altrove.

La scommessa di Kipping trova sostegno in un’analisi bayesiana aggiornata che attribuisce un rapporto di probabilità di 13 a 1 alla nascita rapida della vita quando le condizioni ambientali diventano favorevoli. In altre parole, se un pianeta possiede oceani stabili, chimica organica ricca e un clima relativamente temperato, l’avvio di processi biochimici complessi potrebbe essere più la norma che l’eccezione. Questa prospettiva libera l’immaginazione degli astrobiologi ma impone anche maggiore rigore: per discriminare tra scenari di abiogenesi rapida e di panspermia — la possibilità che la vita venga “seminata” da altrove — servono missioni dedicate alla geologia comparata degli esopianeti e allo studio delle loro atmosfere primordiali.

C’è, tuttavia, un corollario più inquietante. Se la vita sboccia in fretta ma l’evoluzione della coscienza intelligente richiede miliardi di anni, allora la finestra temporale in cui una civiltà può emergere e prosperare è angusta. Sulla Terra, forme di vita complesse e cognitive sono spuntate a circa quattro miliardi di anni dall’origine del pianeta, lasciando — secondo molti modelli stellari — soltanto un altro miliardo prima che l’aumento della luminosità solare renda inabitabile la superficie. Questa stretta forbice temporale suggerisce che l’universo potrebbe pullulare di microrganismi, mentre le intelligenze evolute restano rare e transitorie, come lucciole che lampeggiano brevemente nel tempo cosmologico.

Ecco perché la posta in gioco per la prossima generazione di telescopi — da quelli ottici come il Nancy Grace Roman a quelli a raggi infrarossi di nuova concezione — è altissima: non si tratta solo di rilevare tracce di metano o ossigeno su esopianeti terrestri, ma di quantificare quanto spesso la chimica diventa biologia e quanto di rado la biologia diventa mente. Ogni spettro atmosferico che misureremo ci aiuterà a colmare la lacuna statistica che, per ora, poggia su un singolo punto dati: la nostra stessa esistenza.

Kipping ci ricorda, in sostanza, che la riflessione sull’abitabilità non è più un esercizio di mera speculazione filosofica. Abbiamo i mezzi per indagare e, presto, per verificare se l’ipotesi di una emergenza rapida della vita sia un principio generale o l’anomalia fortunata di questo “pallido puntino blu”. Ogni frammento di spettro, ogni pixel proveniente da un mondo lontano, sarà un tassello per capire se siamo l’eccezione o la regola del cosmo.

Stefano Camilloni

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