Le onde gravitazionali, increspature nello spaziotempo predette da Einstein e rilevate per la prima volta nel 2015, sono diventate uno strumento fondamentale per gli astronomi. Ci permettono di studiare eventi cosmici estremi, come la fusione di sistemi binari composti da oggetti massicci come stelle di neutroni o buchi neri. Quando questi oggetti spiraleggiano l’uno verso l’altro e si fondono, generano onde gravitazionali che portano con sé preziose informazioni.
Un problema cruciale nell’analisi di questi segnali riguarda l’identificazione e l’etichettatura dei due oggetti nel sistema binario. Per convenzione, l’oggetto più pesante viene etichettato come “1” e l’altro come “2”. Tuttavia, questo approccio diventa problematico e confuso quando gli oggetti hanno masse molto simili, all’interno del margine di errore delle misurazioni. Anche l’uso di altre proprietà, come lo spin (la rotazione) degli oggetti, non risolve completamente il problema quando gli spin sono simili.
Per affrontare questa sfida, alcuni ricercatori hanno proposto un nuovo approccio basato sull’apprendimento automatico. Invece di affidarsi a un singolo parametro (come massa o spin) per distinguere gli oggetti, il loro metodo analizza l’intera distribuzione dei dati. Hanno inquadrato il problema come un “clustering vincolato”, un tipo di algoritmo di apprendimento automatico che identifica pattern nei dati, con il vincolo specifico che i due oggetti provenienti dallo stesso evento gravitazionale devono essere assegnati a categorie differenti. In sostanza, lasciano che siano i dati stessi a suggerire il modo migliore per differenziare gli oggetti, senza pregiudizi basati su un singolo parametro.
Questo studio, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, è stato condotto da un team di scienziati. Il primo autore è il Dr. Davide Gerosa dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca in Italia. Il team di ricerca include anche le sue studentesse Viola De Renzis e Federica Tettoni, un postdoc nel suo gruppo Costantino Pacilio, un ex studente Matthew Mould (ora al MIT), e un collaboratore di lunga data Alberto Vecchio dell’Università di Birmingham
Questo modello di apprendimento automatico è stato applicato sia a dati simulati che a dati reali provenienti dagli osservatori di onde gravitazionali LIGO, Virgo e KAGRA. I risultati sono stati notevoli: la precisione nelle misurazioni dello spin dei buchi neri è migliorata considerevolmente, fino al 50%. Le ambiguità nei dati tendono a scomparire, permettendo agli scienziati di distinguere con maggiore sicurezza se un oggetto nel sistema è un buco nero o una stella di neutroni. Ad esempio, per un evento specifico (GW191103_012549), il nuovo metodo ha drasticamente ridotto la probabilità che uno dei buchi neri ruotasse in direzione opposta all’orbita.
Questa maggiore precisione è fondamentale per comprendere meglio la formazione e le proprietà dei buchi neri. Questo studio dimostra come rivedere le ipotesi fondamentali nell’analisi dei dati possa portare a miglioramenti significativi senza la necessità di costruire nuovi e costosi strumenti. La metodologia sviluppata è applicabile sia ai dati attuali che a quelli futuri, inclusi quelli attesi da osservatori di prossima generazione come LISA e l’Einstein Telescope.
In sintesi, l’uso innovativo dell’apprendimento automatico sta sbloccando nuove possibilità nell’interpretazione dei segnali di onde gravitazionali, offrendo una visione più chiara e precisa degli eventi cosmici che le generano.
Stefano Camilloni