Per decenni, l’origine dell’acqua — la linfa vitale che ha reso possibile la comparsa della vita sulla Terra — ha affascinato e diviso la comunità scientifica. Da dove viene tutta quest’acqua? È stata portata da comete e asteroidi erranti, oppure è nata qui, nella fornace primordiale del nostro pianeta?
Una nuova, straordinaria ricerca pubblicata su Nature il 30 ottobre 2025 sembra finalmente offrire una risposta tanto semplice quanto rivoluzionaria: i pianeti possono generare la propria acqua. Non per dono del cielo, ma come conseguenza naturale della loro stessa formazione.
Un nuovo sguardo ai mondi comuni dell’universo
Il team guidato da Francesca Miozzi e Anat Shahar del Carnegie Institution for Science ha puntato lo sguardo verso una categoria di pianeti che abbonda nella nostra galassia: i sub-Nettuniani.
Questi mondi, più grandi della Terra ma più piccoli di Nettuno, possiedono cuori rocciosi avvolti da atmosfere spesse, dominate dall’idrogeno. Sono, in un certo senso, la forma più “naturale” di pianeta dell’universo — e forse il laboratorio perfetto per comprendere come la materia possa trasformarsi in qualcosa di tanto prezioso e universale quanto l’acqua.
«La varietà dei pianeti che stiamo scoprendo con i telescopi ci ha costretti a ripensare tutto ciò che credevamo di sapere sulla formazione planetaria», spiega Miozzi. «Per la prima volta abbiamo considerato che l’acqua possa essere nata direttamente nei pianeti stessi, non importata dall’esterno».
Dentro il crogiolo planetario
La ricerca si inserisce nel progetto AEThER (Atmospheric Empirical, Theoretical, and Experimental Research), un ambizioso programma che fonde astronomia, fisica dei materiali e geochimica per ricostruire i processi che plasmano i mondi abitabili.
Per mettere alla prova l’ipotesi, i ricercatori hanno ricreato in laboratorio le condizioni estreme di un pianeta appena nato: un globo di magma incandescente, immerso in una densa atmosfera di idrogeno molecolare.
Utilizzando una camera a incudine di diamante, hanno compresso minuscoli campioni di silicato fuso ricco di ferro e idrogeno fino a 60 gigapascal — l’equivalente di 600.000 volte la pressione atmosferica terrestre — e li hanno riscaldati oltre i 4.000 °C.
Il risultato? Una trasformazione chimica profonda e sorprendente:
- l’idrogeno si dissolve nel magma;
- reagisce con l’ossido di ferro;
- e da questa reazione nascono molecole d’acqua.
Non in modo marginale, ma in quantità tali da riempire oceani interi.
Quando l’acqua diventa inevitabile
La scoperta cambia radicalmente il paradigma dell’abitabilità planetaria. Finora si era pensato che l’acqua dovesse essere portata da comete o asteroidi ricchi di ghiaccio, in un gioco cosmico di probabilità. Oggi, invece, si delinea una visione più profonda: l’acqua è un prodotto inevitabile della nascita dei mondi rocciosi.
In altre parole, ovunque esistano pianeti di tipo terrestre avvolti da atmosfere primordiali di idrogeno — e ce ne sono miliardi — l’acqua potrebbe essere sorta spontaneamente nei loro oceani di magma.
«Il nostro esperimento mostra che la chimica della vita è scritta nel linguaggio della fisica planetaria», afferma Shahar. «Quando il ferro incontra l’idrogeno nelle giuste condizioni, l’acqua è destinata a nascere».
Un nuovo capitolo nella storia cosmica dell’acqua
Questo studio non solo risolve un enigma antico, ma apre un orizzonte affascinante nella ricerca di mondi abitabili. Se l’acqua è davvero un prodotto naturale dell’evoluzione planetaria, allora l’universo potrebbe essere molto più umido — e forse più vivo — di quanto abbiamo mai immaginato.
Là fuori, innumerevoli pianeti potrebbero aver creato autonomamente i propri oceani, goccia dopo goccia, nel silenzioso respiro delle stelle.
E forse, da qualche parte, quell’acqua sta già raccontando una nuova storia: la storia di un altro mondo dove la vita ha imparato a guardare il cielo, chiedendosi — come noi — da dove venga tutta questa meraviglia.
Stefano Camilloni


