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Viaggiare tra le stelle senza lasciare la Terra: la straordinaria storia centenaria dei planetari

Immaginate di entrare in una stanza buia e ritrovarvi sotto un cielo stellato così vivido da sembrare reale. Questo è il cuore dell’esperienza offerta dai planetari, strumenti che da un secolo ci permettono di esplorare il cosmo senza mai lasciare la Terra. Ieri 7 maggio 2025 si sono celebrati i 100 anni dalla prima proiezione pubblica del planetario moderno, avvenuta al Deutsches Museum di Monaco.

Fin dall’antichità, l’uomo ha osservato le stelle per orientarsi e cercare significati più profondi. Questa esigenza ha portato, nel XVIII secolo, allo sviluppo dell’orrery, un modello meccanico del sistema solare. Inizialmente, il termine planetario veniva proprio utilizzato per definire questi modelli. Un esempio storico è quello costruito da Eise Eisinga nei Paesi Bassi, ancora funzionante. Tuttavia, l’orrery offriva una vista esterna dell’universo, ben lontana da ciò che possiamo osservare dalla Terra.

Con l’aumento dell’inquinamento luminoso nelle città del XX secolo, la visione del cielo si fece sempre più difficile. Nacque così il desiderio di ricreare artificialmente il cielo notturno. A questo scopo fu costruita l’Atwood Sphere a Chicago nel 1913, una sfera con centinaia di fori che simulava il cielo visibile dalla città. Ma i fori fissi non permettevano di mostrare il moto dei pianeti, sempre in cambiamento.

La svolta arrivò quando si pensò di proiettare stelle e pianeti anziché simularli meccanicamente. Questo portò allo sviluppo di un nuovo tipo di planetario, con un approccio completamente differente, commissionato all’azienda Carl Zeiss AG. Nel 1923 fu completato il primo proiettore planetario, e nel 1925 fu mostrato al pubblico, dando il via a un’era nuova per la divulgazione astronomica.

Il successo fu immediato. Negli anni successivi i planetari si diffusero in tutto il mondo: il primo negli Stati Uniti fu inaugurato a Chicago nel 1930, e il primo in Asia a Osaka, nel 1937. Durante la corsa allo spazio negli anni ’60, i planetari divennero ancora più popolari. Alcuni, come quello di Montevideo (1955) o Melbourne (1965), sono attivi ancora oggi.

I proiettori opto-meccanici erano meraviglie dell’ingegneria: utilizzavano piastre perforate illuminate per rappresentare le stelle, mentre sole, luna e pianeti avevano proiettori separati, comandati da ingranaggi e aste capaci di simulare il cielo da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.

Negli anni ’90, una nuova rivoluzione digitale trasformò radicalmente i planetari. Con l’aiuto dei computer, fu possibile calcolare le posizioni planetarie in tempo reale. Il Melbourne Planetarium fu il primo dell’emisfero sud a installare un sistema digitale nel 1999: il Digistar II, sviluppato da Evans e Sutherland. Questo sistema, con una lente fisheye e un singolo proiettore, offriva un’esperienza interattiva e un database 3D con oltre 9.000 stelle.

Oggi, i planetari usano la tecnologia fulldome, ovvero proiezioni video a 360 gradi. Diversi proiettori collaborano per creare un’unica immagine continua, trasformando il planetario in un teatro immersivo. Le simulazioni si basano su dati reali, raccolti da telescopi e agenzie spaziali. Gli spettatori possono viaggiare nello spazio, orbitare attorno a pianeti e lune, e persino esplorare galassie lontane.

Ironia della sorte, mentre Zeiss costruiva il primo planetario, Edwin Hubble scopriva l’esistenza di altre galassie oltre la Via Lattea. Le stelle visibili nella cupola del 1925 erano solo una minima parte di un universo in espansione.

Nonostante le rivoluzioni tecnologiche, lo scopo dei planetari è rimasto invariato: suscitare meraviglia e stupore. Che si tratti di un orrery del Settecento, di un proiettore meccanico del Novecento o di un sistema digitale contemporaneo, i planetari continuano ad alimentare il nostro fascino per il cielo notturno, collegando scienza, emozione e immaginazione.

Stefano Camilloni

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