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Il primo buco nero stellare solitario svelato dalle lenti gravitazionali e dal telescopio spaziale Hubble

Per lungo tempo, i buchi neri di massa stellare scoperti nella nostra galassia erano tutti parte di sistemi binari, spesso rivelando la loro presenza attraverso potenti emissioni di raggi X o le onde gravitazionali emesse durante fusioni cosmiche. Ma ora, grazie a una meticolosa analisi di un evento di microlensing galattico chiamato OGLE-2011-BLG-0462, un team di scienziati guidato da Kailash C. Sahu ha confermato la scoperta del primo buco nero di massa stellare isolato mai osservato.

Questo risultato straordinario, pubblicato sulla prestigiosa rivista The Astrophysical Journal, si basa su anni di osservazioni da terra e, soprattutto, sulle precise misurazioni del telescopio spaziale Hubble (HST). La scoperta apre una nuova finestra sulla popolazione di buchi neri “silenziosi” che si aggirano per la nostra galassia, sfuggendo ai metodi di rilevamento tradizionali.

Un “sussurro” gravitazionale rivelato dalla microlensing

Il fenomeno che ha permesso di scovare questo elusivo oggetto cosmico è la microlensing gravitazionale. Immaginate una stella lontana la cui luce viene leggermente deviata e amplificata dal campo gravitazionale di un oggetto massiccio interposto tra noi e la stella stessa. Questo “effetto lente” può rivelare la presenza di oggetti altrimenti invisibili, come pianeti o, in questo caso, un buco nero.

L’evento OGLE-2011-BLG-0462 è stato osservato per la prima volta da telescopi terrestri, mostrando un caratteristico aumento di luminosità della stella sorgente dovuto al passaggio di un oggetto massiccio davanti ad essa. La lunga durata dell’evento (circa 270 giorni) e l’elevata amplificazione della luce suggerivano che l’oggetto lente potesse essere insolitamente massiccio.

Lo sguardo acuto di Hubble conferma la natura oscura

La vera svolta è arrivata grazie alle osservazioni del telescopio spaziale Hubble. Nel corso di 11 anni, HST ha acquisito immagini precise dell’evento in otto diverse epoche, permettendo agli scienziati di misurare la minuscola ma significativa deviazione astrometrica della posizione apparente della stella sorgente mentre il buco nero le passava davanti. Questo effetto, previsto dalla teoria della relatività di Einstein, è la firma inequivocabile di un oggetto estremamente massiccio e compatto.

La meticolosa analisi di queste deviazioni astrometriche, combinata con i dati fotometrici aggiornati ottenuti da 16 diversi telescopi terrestri, ha portato a una conclusione sorprendente: l’oggetto lente ha una massa di 7.15 ± 0.83 volte la massa del nostro Sole. Questa massa, unita all’assenza di luce rilevabile proveniente dall’oggetto stesso anche nelle osservazioni più recenti di HST, verifica in modo conclusivo la sua natura di buco nero.

Superare la sfida di una stella vicina brillante

L’analisi dei dati di HST non è stata semplice. La stella sorgente si trova molto vicino (solo 0.2 secondi d’arco) a una stella vicina quasi 20 volte più luminosa. La luce diffusa (point-spread function o PSF) di questa stella brillante sovrapponeva l’immagine della sorgente, rendendo estremamente difficile misurarne con precisione la posizione.

Per superare questa sfida, il team di ricerca ha sviluppato una tecnica sofisticata di sottrazione della PSF, creando un modello dettagliato della luce diffusa dalla stella brillante e sottraendola da ogni singola immagine di HST. Hanno persino dovuto tenere conto delle variazioni della PSF all’interno di una singola orbita di HST, causate dai cambiamenti termici del telescopio (“telescope breathing”). Questa precisione è stata fondamentale per ottenere misurazioni astrometriche accurate.

Un buco nero in movimento

L’analisi ha anche rivelato che questo buco nero solitario si trova a una distanza di circa 1.52 ± 0.15 kiloparsec (circa 5000 anni luce) da noi e si muove con una velocità di 51.1 ± 7.5 km/s rispetto alle stelle circostanti. Questa elevata velocità suggerisce che il buco nero potrebbe aver ricevuto una sorta di “calcio natale” durante la sua formazione dal collasso di una stella massiccia in una supernova.

Nessuna traccia di compagni stellari

Un aspetto cruciale della ricerca è stata l’indagine sulla possibile presenza di compagni stellari del buco nero. Fino a questa scoperta, quasi tutti i buchi neri di massa stellare conosciuti facevano parte di sistemi binari. Tuttavia, l’analisi dettagliata della luce proveniente dalla posizione del buco nero nelle immagini di HST non ha rivelato alcuna traccia di una stella compagna significativa fino a una massa di circa 0.15 masse solari e a separazioni fino a circa 300 unità astronomiche. Inoltre, l’analisi del moto proprio delle stelle vicine non ha identificato alcuna stella che si muovesse insieme al buco nero fino a una distanza di 2000 unità astronomiche, escludendo compagni stellari più distanti con masse superiori a circa 0.2 masse solari. Questo conferma ulteriormente la natura isolata di questo oggetto.

Un confronto con studi precedenti

È importante notare che anche altri gruppi di ricerca hanno analizzato i dati di OGLE-2011-BLG-0462, giungendo anch’essi alla conclusione che si tratti di un buco nero. Tuttavia, il team di Sahu e colleghi ha utilizzato un set di dati più completo (includendo dati fotometrici da 16 telescopi) e una tecnica di analisi astrometrica più sofisticata per gestire la presenza della stella brillante vicina. Questo approccio ha portato a stime leggermente diverse per alcuni parametri, ma ha rafforzato la certezza della scoperta.

Implicazioni per la comprensione dei buchi neri

La conferma dell’esistenza di un buco nero di massa stellare isolato ha importanti implicazioni per la nostra comprensione dell’evoluzione stellare e della popolazione di buchi neri nella nostra galassia. Si stima che nella Via Lattea ci siano milioni di buchi neri di massa stellare, ma la maggior parte di essi rimane invisibile perché non interagisce strettamente con altre stelle. Questa scoperta dimostra che la microlensing astrometrica, in particolare con la potenza risolutiva di telescopi come Hubble, può essere uno strumento efficace per scovare questi oggetti elusivi e ampliare la nostra conoscenza del lato oscuro della galassia.

Stefano Camilloni

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