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Alla scoperta di nuovi buchi neri: come il DESI ha rivoluzionato la ricerca nell’Universo primordiale

Un nuovo capitolo nell’astronomia osservativa si è aperto con l’annuncio della scoperta di centinaia di buchi neri di massa intermedia e di migliaia di buchi neri attivi in galassie nane, grazie ai dati raccolti dal Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI). Queste scoperte non solo triplicano il numero di buchi neri di questo tipo noti fino a oggi, ma gettano nuova luce sulla formazione dei primissimi buchi neri nell’Universo e sul ruolo che essi giocano nell’evoluzione delle galassie.

Un nuovo sguardo sul cosmo: cos’è il DESI?

Il Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI) è uno strumento all’avanguardia progettato per osservare, in modo estremamente efficiente, un numero senza precedenti di galassie. Grazie a un sistema di fibre ottiche, il DESI può raccogliere simultaneamente la luce di 5000 galassie. Questa straordinaria capacità di acquisizione dati velocizza enormemente le campagne di osservazione, consentendo agli astronomi di affrontare domande cruciali su come si evolve l’Universo.

Finanziato dall’Ufficio della Scienza del Dipartimento dell’Energia (DOE) degli Stati Uniti, il DESI è montato sul telescopio Nicholas U. Mayall da 4 metri, situato presso il Kitt Peak National Observatory (Arizona, USA), a sua volta parte del programma NOIRLab della National Science Foundation (NSF). L’indagine DESI, avviata nel 2021 e attualmente al quarto anno di attività, prevede di raccogliere lo spettro di circa 40 milioni tra galassie e quasar. Questa enorme mole di dati fornirà indizi fondamentali sulla natura dell’energia oscura, la misteriosa componente dell’Universo responsabile dell’accelerazione dell’espansione cosmica.

I nuovi dati: 410.000 galassie e una sorpresa

Nello studio recente, il team internazionale di ricercatori guidato dalla dott.ssa Ragadeepika Pucha, post-doc presso l’Università dello Utah, si è concentrato su un campione di 410.000 galassie provenienti dai dati preliminari di DESI. Tali dati includono sia la fase di validazione del survey sia circa il 20% del primo anno di osservazioni. Tra queste centinaia di migliaia di galassie, ben 115.000 sono galassie nane, ossia sistemi di dimensioni ridotte che contengono da poche migliaia a qualche miliardo di stelle, con una scarsità di gas interstellare.

Uno dei motivi di interesse per le galassie nane è il loro potenziale ruolo di “mattoni fondamentali” nell’architettura dell’Universo: si ritiene infatti che galassie più grandi, come la Via Lattea, possano essersi formate dalla fusione e dall’accrescimento di strutture molto più piccole. Studiare la presenza di buchi neri in queste galassie minute è dunque essenziale per comprendere i processi di crescita ed evoluzione galattica.

I buchi neri nei sistemi galattici: una presenza (quasi) onnipervasiva

Gli astronomi sono ormai certi che i nuclei delle galassie massicce (come la Via Lattea o la galassia di Andromeda) ospitino buchi neri supermassicci, con masse di milioni o addirittura miliardi di volte quella del Sole. Ma cosa succede nelle galassie più piccole? È ancora un enigma se e in che misura esse ospitino buchi neri centrali. E soprattutto: come rivelarli?

Un buco nero, di per sé, è praticamente invisibile poiché non emette luce. Tuttavia, un buco nero in fase di “alimentazione” — noto come nucleo galattico attivo (Active Galactic Nucleus o AGN) — diventa estremamente luminoso, poiché la materia che cade nelle sue vicinanze si riscalda ed emette radiazione su un ampio intervallo di frequenze, dai raggi X fino all’ultravioletto e all’infrarosso. Questa luminosità eccezionale permette agli scienziati di identificare la presenza del buco nero anche a grandi distanze.

L’osservazione di questa “firma” di accrescimento è particolarmente sfidante nelle galassie nane, perché il loro nucleo è piccolo e la debole emissione totale può facilmente essere confusa o “diluita” dalla luce stellare. Ma la struttura a fibre ottiche di DESI — che concentra il fascio luminoso principalmente dalle regioni centrali della galassia — rende più facile individuare i segnali tipici dell’AGN.

Dalle galassie nane ai buchi neri di massa intermedia

Uno dei risultati più eclatanti di questa ricerca è la scoperta di 2500 galassie nane che ospitano un nucleo galattico attivo. Si tratta di un balzo straordinario, se consideriamo che le stime precedenti individuavano una percentuale di AGN nelle galassie nane intorno allo 0,5%. Adesso, questa quota sembra essere circa quattro volte superiore (2%). Ciò vuol dire che, in passato, abbiamo probabilmente sottostimato la diffusione di buchi neri al centro di galassie nane e, di conseguenza, la loro importanza nell’evoluzione galattica.

Ma non finisce qui: sempre grazie ai dati DESI, il team ha individuato 300 potenziali buchi neri di massa intermedia (IMBH). Questi oggetti, con masse comprese indicativamente tra 100 e alcune centinaia di migliaia di masse solari, si collocano tra i buchi neri “stellari” (decine di masse solari) e quelli supermassicci (milioni-miliardi di masse solari). La loro esistenza è ancora in parte avvolta dal mistero, ma i teorici ipotizzano che possano essere i progenitori dei giganteschi buchi neri che oggi osserviamo nei nuclei delle galassie più grandi. Fino a poco tempo fa ne conoscevamo solo un centinaio, mentre ora questo campione è triplicato, offrendo alla comunità scientifica l’opportunità di approfondire le modalità con cui i buchi neri crescono e si evolvono.

Nuovi interrogativi su formazione ed evoluzione

Curiosamente, degli intermedi-mass black hole individuati, solo 70 si trovano nelle galassie nane con AGN. Molti di questi oggetti “di massa intermedia”, quindi, non si trovano nei sistemi più piccoli, o comunque non mostrano un’evidente attività di accrescimento. La domanda che sorge spontanea è: come si formano e in che modo la galassia “ospite” ne influenza la crescita?

Sono possibili diverse ipotesi:

  1. Formazione diretta: alcuni buchi neri di massa intermedia potrebbero essersi formati direttamente dai collassi di stelle molto massicce nelle epoche remote dell’Universo.
  2. Crescita graduale: altri potrebbero invece essersi formati da buchi neri di piccola massa (di origine stellare) che nel tempo hanno “inghiottito” gas e materia, aumentando la propria massa.
  3. Fusione tra buchi neri: un’altra possibilità è che i buchi neri di massa intermedia possano formarsi dalla fusione di più buchi neri stellari in ambienti particolarmente densi (come negli ammassi globulari).

L’esistenza di un così vasto campione di candidati consentirà ai ricercatori di mettere alla prova queste teorie, studiando in dettaglio le proprietà fisiche (emissione spettrale, massa, tasso di crescita) e il contesto galattico in cui tali buchi neri dimorano.

Prospettive future: il potenziale di DESI e oltre

Grazie alla tecnologia innovativa dietro il DESI — in particolare, il diametro ridotto delle fibre che permette di “centrare” meglio il cuore delle galassie — stiamo vivendo una “nuova età dell’oro” nella ricerca sui buchi neri. Queste scoperte, provenienti da soli dati preliminari, lasciano immaginare quanto potrà emergere al termine dell’intero progetto, quando DESI avrà raccolto spettri di decine di milioni di galassie in tutto il cielo.

Le implicazioni non si limitano alla comprensione delle galassie e dei loro buchi neri centrali, ma si estendono allo studio della prima generazione di buchi neri nell’Universo e alla maniera in cui questi oggetti abbiano influenzato — e continuino a influenzare — la distribuzione di materia, la formazione stellare e, in ultima analisi, l’evoluzione cosmica.

Inoltre, è probabile che le prossime campagne osservative di altri telescopi, come l’Osservatorio Vera Rubin (che entrerà in funzione con la Large Synoptic Survey Telescope, o LSST) o i futuri radiotelescopi di nuova generazione, forniranno ulteriori strumenti per scovare e caratterizzare buchi neri di tutte le taglie. L’obiettivo finale è costruire un quadro coerente che unisca la crescita dei buchi neri e l’evoluzione delle galassie: un legame inscindibile nella storia dell’Universo.

Verso nuovi scenari

La scoperta di 2500 buchi neri attivi in galassie nane e di 300 buchi neri di massa intermedia con i dati di DESI rappresenta un passo da gigante per l’astrofisica. Non solo perché incrementa drasticamente il catalogo di oggetti finora rari, ma soprattutto perché ci fornisce indizi concreti sulla formazione dei buchi neri nei primi eoni dell’Universo e sui meccanismi che guidano la coevoluzione fra buchi neri e galassie.

Come sottolinea la dott.ssa Pucha, il grande valore di questi risultati risiede nella loro natura statistica: avere un campione così ampio permette di distinguere fra diverse teorie, testare i modelli di crescita e formazione e, in definitiva, fare luce su alcuni dei misteri più affascinanti del cosmo. Nei prossimi anni, l’analisi dettagliata dei dati DESI — combinata con le osservazioni di altri osservatori da Terra e dallo spazio — aprirà scenari ancora più ricchi e complessi. La caccia ai buchi neri, dalle galassie più grandi a quelle più piccole, è appena cominciata.

Stefano Camilloni

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