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Un viaggio nel Cosmo: accelerazione della conoscenza e ricerca di vita extraterrestre con Amedeo Balbi

Nel cuore di un dialogo che sembra affacciarsi sull’infinito, il giornalista e divulgatore Massimo Polidoro incontra l’astrofisico Amedeo Balbi in un episodio de Il Gomitolo Atomico, il video podcast dedicato alla scienza e alla sete di conoscenza. È un viaggio appassionato tra stelle e domande ancestrali, una rotta tracciata tra le meraviglie dell’universo e le incertezze che ancora avvolgono la nostra esistenza.

Amedeo Balbi, docente all’Università di Roma Tor Vergata e voce autorevole della divulgazione scientifica italiana, porta con sé il peso lieve della competenza: centinaia di pubblicazioni, collaborazioni internazionali, esperienze con la NASA e l’ESA, una passione contagiosa per la cosmologia e la vita oltre la Terra. Il suo libro Il Cosmo in brevi lezioni ha fatto da stella polare nella conversazione, guidando la rotta attraverso concetti complessi con la grazia di chi sa raccontare l’invisibile.

Tra i temi centrali, emerge con forza la vertiginosa accelerazione della conoscenza scientifica. Balbi ci ricorda che solo un secolo fa ignoravamo l’esistenza di altre galassie oltre la Via Lattea. Oggi ne contiamo miliardi, e il cielo si è fatto oceano. L’origine e l’evoluzione dell’universo, un tempo dominio esclusivo della filosofia, sono ora capitoli di una scienza matura, costruita su osservazioni e dati. È un balzo in avanti che toglie il fiato: nel 1995, anno della laurea di Balbi, si scopriva il primo pianeta extrasolare; oggi ne conosciamo migliaia. La scienza corre, e con essa si allarga l’orizzonte del possibile.

Balbi sottolinea tre momenti epocali che segnano questa marcia verso l’ignoto:

  • La rivelazione delle onde gravitazionali, la musica silenziosa dell’universo, prevista da Einstein e ascoltata per la prima volta un secolo dopo.
  • La prima immagine di un buco nero, una finestra aperta sull’abisso, prima in un’altra galassia, poi nel cuore stesso della nostra.
  • La scoperta di un pianeta in orbita attorno a Proxima Centauri, il nostro più vicino vicino di casa cosmico, una perla tra le stelle che stimola l’immaginazione.

Questi traguardi non sarebbero stati possibili senza la tecnologia, che come un nuovo occhio, ci permette di scrutare ciò che prima era buio. È una tradizione che risale a Galileo e al suo cannocchiale, ma che oggi si declina in telescopi spaziali, rivelatori sottilissimi e intelligenze artificiali al servizio della scoperta.

Parlando del Big Bang, Balbi chiarisce un fraintendimento diffuso: non descrive un’esplosione iniziale, ma un’evoluzione da uno stato caldo e denso. Il momento originario, se mai esistito, rimane avvolto da un silenzio che la scienza, pur armata di strumenti potenti, fatica a rompere. È un invito all’umiltà: sapere dove finisce la conoscenza è già un passo avanti.

L’esplorazione spaziale, nel breve arco di una generazione, ha trasformato l’impossibile in quotidiano. Dalle mongolfiere ai razzi, dalle passeggiate lunari ai viaggi interstellari delle sonde Voyager, la cui eco attraversa ora i confini del sistema solare. A bordo portano un Disco d’Oro, curato anche da Carl Sagan: immagini, suoni, parole umane destinate a vagare per milioni di anni. Una bottiglia lanciata nel buio, forse mai raccolta, ma testimone della nostra presenza nell’universo.

Anche le missioni Apollo, nate da esigenze politiche, hanno lasciato un’eredità culturale immensa. Hanno ispirato vocazioni, acceso fuochi di meraviglia e tracciato una direzione: quella delle STEM, delle scienze come strumenti per leggere e trasformare il mondo. In questo spirito si inserisce l’idea del “cathedral thinking”, costruire oggi per chi verrà dopo. Un concetto raro nel nostro tempo, in cui il presente divora il futuro. Ma necessario, se vogliamo affrontare sfide come i cambiamenti climatici, che richiedono visione, pazienza e coraggio collettivo.

Sulla colonizzazione di altri pianeti, Balbi è lucido e critico: non possiamo vedere Marte come una scialuppa di salvataggio. Terraformare un altro mondo è immensamente più difficile che salvare la Terra. L’esplorazione è fondamentale, ma la fuga è un’illusione.

E allora torna la domanda delle domande: siamo soli nell’universo?. Per la prima volta nella storia, abbiamo gli strumenti per cercare la risposta. I candidati sono vicini: Marte, con le sue sabbie antiche; le lune ghiacciate di Giove e Saturno, custodi di oceani nascosti. La vita, anche nelle sue forme più semplici, potrebbe già essere là fuori. Balbi affronta con chiarezza anche le convinzioni più diffuse sull’esistenza di alieni sulla Terra: non ci sono prove. E se ci fossero, gli scienziati sarebbero i primi a volerle svelare. La scienza ama le rivoluzioni, non i complotti.

Nel cuore della conversazione, si riflette sul metodo scientifico. Balbi chiarisce il significato profondo di “teoria” in ambito scientifico: una struttura robusta, verificata, predittiva. Lontana dal senso comune che la riduce a semplice congettura. La scienza, dice, è collettiva: si nutre di grandi menti, ma soprattutto di confronto, verifica, trasparenza. E se la conoscenza ci dona certezze, ci regala anche l’umiltà del non sapere. Un’ombra che ci accompagna e ci rende più prudenti, meno inclini a cadere nelle illusioni.

Alla domanda su quale mistero vorrebbe svelare, Balbi non esita: “Siamo soli nell’universo?”. Se esistesse una scatola con la risposta, la aprirebbe subito. Non per ansia, ma per amore della verità.

Quello tra Balbi e Polidoro non è stato solo un dialogo. È stato un faro acceso sul mare della conoscenza, una navigazione tra ciò che sappiamo e ciò che ancora ci attende. Un invito, poetico e potente, a non smettere mai di guardare il cielo con meraviglia e con mente aperta.

Stefano Camilloni

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