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Il segreto svelato delle galassie: una nuova era per l’astronomia? Scoperta una connessione inattesa tra luce visibile e infrarosso

Immagina l’universo come un libro immenso, le galassie le sue pagine più affascinanti, costellate di stelle e misteri cosmici. Per anni, noi, come lettori curiosi, abbiamo cercato di decifrare la loro storia e il loro funzionamento scrutandole con i nostri telescopi. Abbiamo interpretato la luce che ci giunge da queste lontane isole stellari, scomponendola nei suoi colori fondamentali, convinti che ogni sfumatura raccontasse una storia separata e indipendente. Ma cosa succederebbe se questa nostra interpretazione, così radicata nelle fondamenta dell’astronomia, si rivelasse… incompleta, se non addirittura errata?

Fino a poco tempo fa, l’astronomia si basava interamente sulle onde elettromagnetiche, la luce visibile e invisibile che viaggia attraverso il cosmo. Abbiamo imparato a scomporre questa luce in colori, o meglio, in lunghezze d’onda, dividendola in categorie come l’infrarosso, l’ottico e l’ultravioletto. Per gli astronomi, ogni “colore” rivelava un diverso fenomeno fisico all’opera nelle galassie, come se ogni lunghezza d’onda fosse un sussurro indipendente che raccontava una storia separata. In particolare, le lunghezze d’onda infrarosse e ottiche erano strumenti chiave per analizzare la formazione e il comportamento di queste immense strutture cosmiche.

Ma ora, un gruppo di ricercatori guidati da Christian Kragh Jespersen dell’Università di Princeton ha messo in discussione questa visione consolidata. Con un lavoro dal titolo tanto semplice quanto rivoluzionario, “The optical and infrared are connected” (“L’ottico e l’infrarosso sono connessi”), pubblicato in anteprima sul server arXiv, questi scienziati suggeriscono qualcosa di sorprendente: ciò che credevamo essere fenomeni distinti, che emettono luce in diverse parti dello spettro elettromagnetico, in realtà sono profondamente legati.

La chiave di questa rivelazione sta nell’analisi incrociata di dati provenienti da due importanti osservatori spaziali e terrestri: il Wide-Field Infrared Explorer (WISE) e lo Sloan Digital Sky Survey (SDSS). Il team ha utilizzato i dati ottici raccolti dall’SDSS per prevedere i valori infrarossi misurati da WISE per oltre 500.000 galassie. E qui è arrivata la sorpresa: l’algoritmo sviluppato dai ricercatori è riuscito a prevedere i dati infrarossi con una precisione impressionante, basandosi unicamente sulle informazioni ottiche!

Questo risultato mina una delle assunzioni fondamentali su cui si basa gran parte dell’astronomia galattica: l’idea che le diverse “componenti” di una galassia – come il suo buco nero supermassiccio centrale o le stelle nei bracci a spirale esterni – siano “separabili” perché emettono radiazioni a diverse lunghezze d’onda. Questa “separabilità” è codificata in complessi strumenti chiamati modelli di distribuzione dell’energia spettrale (SED), utilizzati per caratterizzare le proprietà fisiche delle galassie.

Ma se l’ottico e l’infrarosso sono inestricabilmente connessi, come suggerisce la ricerca, allora i modelli SED attuali, che si basano sull’assunzione di separabilità, potrebbero essere fondamentalmente errati. Per dimostrarlo, i ricercatori hanno confrontato le loro previsioni con quelle generate da due strumenti SED ampiamente utilizzati, CIGALE e prospector. Il risultato? I modelli esistenti hanno fallito clamorosamente nel riprodurre i valori osservati, portando i ricercatori a etichettare i grafici che mostravano queste discrepanze con un eloquente “Overconfident and biased” (eccessivamente fiduciosi e distorti).

Se confermata dalla revisione paritaria e dalla comunità scientifica, questa scoperta potrebbe avere implicazioni profonde per la nostra comprensione dell’universo. Potrebbe significare che i processi che danno origine alla luce ottica e infrarossa nelle galassie sono molto più interconnessi di quanto immaginassimo, aprendo nuove finestre sul modo in cui le galassie si formano ed evolvono.

Certo, gli stessi autori riconoscono alcune potenziali debolezze, come le diverse dimensioni delle aperture degli strumenti WISE e SDSS, che potrebbero influenzare i risultati. Tuttavia, l’accumulo di prove sembra puntare verso una conclusione inequivocabile: l’idea che le diverse componenti delle galassie siano “separabili” in base alla loro emissione luminosa potrebbe essere un’illusione.

Questa ricerca, ancora in fase di preprint, ci ricorda quanto sia dinamico e pieno di sorprese il nostro universo. Ci invita a rimettere in discussione le nostre certezze, ad abbandonare i vecchi schemi e ad abbracciare nuove prospettive per esplorare i misteri delle galassie. Il futuro dell’astronomia galattica potrebbe essere molto più “connesso” di quanto avessimo mai pensato!

Stefano Camilloni

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